Mio fratello. Tutta una vita con Peppino.

Consigli di lettura

Casa Editrice: Libreria Pienogiorno
Anno di pubblicazione: 2021
Autore: Giovanni Impastato
Prezzo: 17,90 Euro

Il libro racconta, come un diario, la vita della famiglia Impastato, fin dagli anni dell’infanzia di Peppino e Giovanni, di 5 anni più piccolo. Si parla del padre Luigi, della madre Felicia, dello zio Matteo e della zia Fara, dello zio Cesare Manzella, mafioso.

«È la storia di chi ha vissuto la mafia e l’antimafia all’interno delle mura domestiche».

Mafioso è anche il padre Luigi, il cognato di Cesare Manzella, capo mafia di Cinisi, ucciso con un’autobomba davanti al cancello della sua tenuta agricola. Mafiose sono le persone con le quali hanno contatti. Il padre si vanta di essere fraterno amico di Tano Badalamenti. E c’è l’antimafia, costituita principalmente da Peppino, che avrà l’appoggio del fratello Giovanni e della madre Felicia. Pur vivendo in un contesto familiare e sociale mafioso, Peppino da sempre ha aborrito la mafia. Fin da bambino ha avuto come una “allergia”, una forte reazione per ciò che era illegale e illecito. Giovanni riconosce, lo ripete frequentemente e ne parla quasi con venerazione, che suo fratello Peppino fin da piccolo aveva già una sua personalità, e si distingueva per la sua intelligenza, perspicacia, rettitudine e capacità di osservare le situazioni e i comportamenti, cercando di capire i fatti al di là dell’apparenza, interpretando le parole dette e quelle non dette. Egli pone e si pone sempre domande per andare in profondità, al di là di quello che si vede e si dice, accogliendo i consigli dello zio Matteo: «a tenere gli occhi aperti, a non fermarti a quello che si vede e ti incanta».

Quali sono gli elementi caratteristici che Peppino coglie sulla mafia?
Lo zio Cesare, mafioso, presenta se stesso come una persona per bene, come un benefattore generoso che aiuta la povera gente e l’orfanotrofio, distribuendo alimenti e offrendo soldi alla parrocchia. Invece, Peppino presenta la mafia come «il potere illegittimo di persone che non hanno alcun rispetto per il bene comune e che impongono se stesse attraverso il denaro, la violenza, il ricatto, gli accordi sotto banco», che impone il pizzo, commercia la droga, comanda sul territorio;  «ma comanda al posto di chi?», si chiederà Peppino, dato che ad esercitare il potere in una società democratica deve essere lo Stato. Ed è netto il giudizio che Peppino dà sui mafiosi e sulla mafia: «i mafiosi sono criminali, non importa se gentili o meno». E in un articolo scriverà che la «mafia è montagna di merda».
Dopo l’uccisione dello zio Cesare, Peppino prenderà maggiore consapevolezza della negatività della mafia: «finalmente abbiamo capito tutto»; «Non voglio vivere con questa gente»; «Con l’inganno ci hanno fatto credere di essere uomini d’onore, di rispetto […] ora basta»; «Se questa è la mafia, io per tutta la mia vita mi batterò contro».

Cosa ha determinato in Peppino la presa di coscienza della negatività della mafia? Qual è stata la molla che lo ha portato a prendere le distanze dal padre e dai parenti mafiosi?
Alla base c’è la sua coscienza morale genuina, sincera, corretta, con un senso innato di giustizia. Proprio perché cresciuto in un ambiente mafioso e venendo continuamente sollecitato ad inserirsi in tale mondo, presentato come una realtà buona, benefica e forte, è stata la sua reazione decisa al suo rifiuto della mafia.
In questo processo di maturazione, oltre alla sua sensibilità e alla volontà di capire, di approfondire, risulteranno preziosi i colloqui con lo zio Matteo, che lo aiuterà a capire quello che avviene in paese, in Sicilia e nell’Italia. Come anche la lettura dei libri di Sciascia (Il giorno della civetta), di Carlo Levi (Le parole sono pietre), di Danilo Dolci e dei giornali. Ciò che Giovanni fa emergere nel fratello Peppino è la forte idealità, la volontà di «trasformare il cuore e la mente di tutti i cittadini di questo Paese e del mondo in amanti della verità e della giustizia», di costruire una società sana, libera, senza condizionamenti, senza schiavitù, che alimenta la speranza del cambiamento: «voglio un’altra vita, un’altra società, un’altra Sicilia».

La conclusione ci svela senza mezzi termini lo scopo della pubblicazione del volume: «la legalità, per noi, è un concetto molto più ricco di quanto a volte si pensi […]: non è il “semplice” rispetto delle leggi, ma la realizzazione della dignità umana anche là dove le leggi, eventualmente ingiuste, non fanno abbastanza, o fanno male. […]: io e Peppino insegniamo che occorre essere non semplicemente “buoni cittadini” e “cittadini onesti”, ma che occorre diventare “cittadini partecipi”, cioè cittadini che guardano alle leggi, ma anche oltre le leggi: cittadini che guardano al valore di cui le leggi sono al servizio. Ne deriva che quando le regole condivise e persino fissate nelle leggi ci sembrassero insufficienti o ingiuste, noi eserciteremo la disobbedienza civile, assolutamente pacifica, di chi espone nei confronti degli altri l’essenza della propria coscienza e li invita a riflettere, a crescere, a migliorare. […] Così ragionava, e agiva, e agisce, Peppino Impastato. Mio fratello».

Perché consigliamo questo libro?
Perché pone l’accento su un tema che, nonostante sia incentrato su avvenimenti del passato, è assolutamente attuale nel suo concentrarsi sul dilemma della legalità, dei diritti, della libertà e della lotta che tutt’ora viene portata avanti per far si che questi principi vengano mantenuti in futuro. É un libro da leggere insieme, adulti e ragazzi, per aprire uno spazio di dialogo e confronto in un momento storico di grande confusione rispetto a certi temi e per approfondire una parte fondante della storia recente del nostro paese.

Buona lettura a tutti voi!