L’albero azzurro

Editore: Kite edizioni
Anno di pubblicazione: 2015
Autore: Amin Hassanzadeh Sharif
Prezzo: 16.00 Euro

Vorrei descrivere questa storia come un atto di coraggiosa ribellione, o di lotta per la libertà, ma non è questo il punto: non siamo di fronte alla rivendicazione di un diritto, ma al riconoscimento della condizione esistenziale della vita, esserci. In questi giorni durante i quali tutto trema e la morte pervade l’aria trontia della sua apparente vittoria, il compito di ciascuno e preservare il ramo azzurro della speranza e permettergli di crescere, perche il male sarà pur violento, ma il bene non smette mai di crescere.

La storia di cui parlo è L’albero azzurro di Amin Hassanzadeh Sharif. L’artista iraniano, in un’opera dai toni cupi e dall’iconografia inusuale, ci narra la storia di un’ostinato albero che non rivendica per sé nessun altro diritto, se non quello di esistere.

È un «gigantesco albero azzurro al centro di una città», un albero spettatore muto della storia delle persone, grembo accogliente per la vita, sostegno consistente degli amori, delle passioni, delle tristezze e delle povertà degli uomini. «Solo uno lo odiava: il re. Perché capiva che la fama e la bellezza dell’albero erano maggiori di quelle del palazzo reale». Accade spesso così ai tiranni, agli uomini ciechi che pensano di bastare a loro stessi, di iniziare e finire l’universo solo grazie a loro stessi: accadde così più di 2000 anni fa quando fu un bambino a destare le ire del despota invidioso, lo è oggi un albero azzurro o una libertà tanto agognata quanto incomprensibile. «Così ogni anno ordinava ai suoi soldati di alzare le mura di cinta e di tagliare tutti i rami dell’albero che si avvicinavano troppo al palazzo. Ma ce n’era sempre qualcuno che riusciva a valicare le mura», fino a che un giorno un ramo invadente costrinse il re ad «inchinarsi all’albero» per passare in una strada.

L’umiltà che attribuisce autorevolezza non è un attributo dei tiranni e l’affermazione del proprio nulla diventa imperativo universale: «il re, furioso, ordinò ai suoi soldati di abbattere l’albero». La gente si oppose ma nulla servì. La vendetta sterile sostituì la vita dell’albero con una statua di pietra. La vita, però come la verità, può piegarsi, può piangere, perfino morire, ma risorgerà. Così «i rami tagliati rimasti nelle case pian piano crebbero e ciascuno divenne a sua volta un albero azzurro.

Oggi l’intera città è una bellissima foresta».